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Storia e cultura del vino

17/01/2023

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Storia e cultura del vino nella produzione del Colle di Santa Mustiola DI PAOLO MASSOBRIO

A Chiusi, in provincia di Siena, oltre un secolo di esperienza porta risultati straordinari: il "Poggio ai Chiari" 2012 è memorabile

Si dovrebbe creare un albo dei Padri del Vino italiano, che poi sono quelli che hanno introdotto innovazione, pur rimanendo ancorati a un sentimento puro: la passione. Un posto d’onore in questo Albo lo merita senza ogni dubbio Fabio Cenni, medico di professione, che agli inizi degli anni Novanta decide di dedicarsi a tempo pieno all’azienda agricola di famiglia nel sud della Toscana al confine con l’Umbria, riproducendo le selezioni migliori di sangiovese (ben 28 i cloni messi a dimora, ecco perché sarebbe un “padre”) che erano presenti nei vecchi vigneti. Ma bisogna andare indietro nel tempo, ovvero negli anni ’20 del secolo scorso, quando suo nonno Amerigo, fondatore dell’azienda, aveva un magazzino di vendita vino a Milano, in viale Jenner, di fronte allo stabilimento della Fernet Branca, e divenne uno dei primi importatori di vini francesi. Importante fu anche l’amicizia col Senatore del Regno d’Italia Arturo Marescalchi, enotecnico fondamentale per la storia dei vini italiani, che operò per anni a Bordeaux, per poi tornare a Conegliano dove fondò l’Associazione Enotecnica Italiani. Ora, il nuovo e originale percorso voluto da Fabio Cenni, lo vede affiancarsi invece ad Attilio Pagli per un lustro – le vendemmie dal 1992 al 1997 – mentre da quelle successive, entra in scena il discepolo di quest’ultimo, Emiliano Falsini. Ma quando si parla di Attilio Pagli è come scoprire una filiera di professionalità e confronto che ebbe nella figura Giulio Gambelli, un faro per molti enologi e produttori toscani. A seguire la parte agronomica, un’altra figura di grande spessore, anzi un mostro sacro della vigna che porta il nome di Federico Curtaz. Così, dopo attenti studi agronomici, Fabio procede agli impianti di nuovi vigneti e alla costruzione della nuova cantina ipogea all’interno di una grotta naturale di tufo a Chiusi, terra etrusca per eccellenza, che si sviluppa nei cunicoli naturali della medesima. E non è un caso se oggi questo scenario affascinante e non riproducibile altrove è al centro di una progettualità enoturistica davvero unica, seguita con entusiasmo dalla compagna Monica. I vigneti, curati come giardini, crescono nel Colle di Santa Mustiola e si affacciano sui “Chiari”, gli specchi d’acqua dei laghi di Chiusi, Montepulciano e Trasimeno. Insomma uno scenario incantevole a livello ambientale e paesaggistico, oltre che dal punto di vista della produzione di uva. Sono terreni pliocenici su fondali marini con depositi alluvionali. E qui Fabio produce le sue 18 mila bottiglie di soli 3 vini, che solitamente fa uscire sul mercato dopo svariati anni di affinamento.

Per questo assaggiamo insieme il Sangiovese Toscano “Vigna Flavia” 2014, che rappresenta una selezione di sei cloni dei 28 della collezione. Affina in botte grande di rovere di Slavonia e nel bicchiere si presenta di colore rubino trasparente. Il naso poi è perfetto, con la giusta grinta di frutta e spezie con sfondo balsamico. Diciamo che è un vino che ha profondità di naso e palato: è una goduria.

Grandissimo per quanto mi riguarda. Il Sangiovese Toscano “Poggio ai Chiari” 2012 è ottenuto invece da tutti e 28 i cloni della collezione e rappresenta il vino simbolo della sua azienda. Le uve vengono vinificate a blocchi sia in botte grande sia in tonneaux e sia in barrique. E questo offre un sorso sontuoso con curiose note minerali, quasi di grafite. Ma quello che colpisce sono il velluto e la sapidità finale.

Ho assaggiato anche il 2011 di Poggio ai Chiari che mostrava il suo rubino solenne e brillante come un’alba. Al naso qui si evidenziavano distese note ematiche e minerali. Ma la sorpresa la ritrovi in bocca con una verticalità lunga, che non dimentica in ogni frazione di secondo di essere elegante, con cenno di tannini che al termine lo rendono decisamente fine. Ecco quando si dice: “Ho assaggiato un vino memorabile!”

Poi l’assaggio del Rosato Toscano “Kernos”, dal nome di un contenitore etrusco per il vino.

Ma la novità è il quarto vino, ovvero lo spumante rosato Aldonem (prima vendemmia il 2019), ottenuto con il “metodo Scacchi”. Si tratta di una spumantizzazione creata quattro secoli fa da Francesco Scacchi, medico nato a Fabriano nel 1577 – quindi mezzo secolo prima di Dom Perignon, l’abate di Hautvillers, famoso nel mondo come l’inventore dello Champagne –. Il suo “De salubri potu dissertatio” (“Del Bere Sano”), capolavoro dell’editoria seicentesca, edito a Roma nel 1622, è considerato tra i più preziosi e significativi libri dell’antica editoria sul vino. Il “Metodo Scacchi” si distingue dallo Champagne o dai Metodo Classico per l’utilizzo degli stessi zuccheri del mosto d’uva per innescare la rifermentazione in bottiglia invece dell’aggiunta abituale del liquer de tirage. Uno stile enologico naturale che esclude l’uso del moderno saccarosio per la presa di spuma affidandosi esclusivamente allo zucchero naturale d’uva. Nel caso dell’Aldonem vi è aggiunta di mosto al vino rosato dell’annata precedente. Nel bicchiere ti colpisce per il suo colore arancio vivo. Al naso è diretto e fruttato anche con una certa intensità. In bocca è secco, fragrante, asciutto, sapido con quella nota vinosa che sembra trasformarsi in fragola, pesca, albicocca.

Una chicca che è pressoché appannaggio di chi prenota una visita in cantina, con degustazioni che, credetemi, sono da sogno.

Autore: Paolo Massobrio